IL NUOVO CONTROLLO GIUDIZIARIO ALLE AZIENDE QUALE MISURA PREVENTIVA PER ATTUARE NUOVE POLITICHE DI INTERVENTO
Cass. Pen., II, n. 17451 del 14.02.2019
Avv. Eleonora Mazzoccanti – Ordine degli Avvocati di Bologna
Avv. Giuseppe Ferone – Ordine degli Avvocati di Roma
La seconda sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 17451 del 2019 ha ritenuto il controllo giudiziario ex art. 34 bis d.lgs 159/2011 una misura di prevenzione ontologicamente connotata dalla natura occasionale del “contagio mafioso” e dalla pendenza dell’impugnazione dell’interdittiva. Ha, altresì, individuato il suo scopo nella garanzia di continuità aziendale e di sospensione degli effetti dell’interdittiva prefettizia, in attesa dell’esito dell’impugnazione. L’azienda che venga colpita da informazione antimafia a carattere interdittivo potrà dunque richiedere, ai sensi dell’art. 34-bis, VI comma, del d.lgs. n. 159/2011 (codice Antimafia) e previa tempestiva impugnazione dell’interdittiva, di essere ammessa al controllo giudiziario.
Il controllo giudiziario è una misura di prevenzione che presenta caratteristiche meno invasive rispetto all’amministrazione giudiziaria e può essere richiesta anche dalla stessa azienda che sia stata colpita da informazione antimafia, purchè le agevolazioni mafiose presentino carattere occasionale.
L’occasionalità delle infiltrazioni mafiose, infatti, è richiesta dalla legge come requisito per essere ammessi al controllo giudiziario, sia che quest’ultimo venga disposto d’ufficio dal Tribunale ex art. 34bis, I comma, sia che, diversamente, il controllo giudiziario venga richiesto dalla stessa azienda che abbia impugnato l’interdittiva antimafia. A tal fine, conclude la Corte, la natura dell’istituto de quo non cambia se proposta dal Pubblico Ministero o richiesta dalla parte interessata dall’interdittiva.
*** Norme:
art. 34 bis, commi 6 e 7, D.lgs. n. 159 del 2011
- Le imprese destinatarie di informazioni antimafia interdittiva ai sensi dell’art. 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo. Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all’art. 127 del codice di procedura penale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell’amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniale. 7. Il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del comma 6 del presente articolo sospende gli effetti di cui all’articolo 94.
Il Fatto
La sentenza della Suprema Corte oggetto di questo breve commento trae origine dal ricorso presentato dalla società F. C. soc. coop. avverso il decreto emesso dal Tribunale di Napoli in data 20.06.2018.
La società F. C. Soc. Coop. si è vista rigettare nel merito l’istanza, presentata al Tribunale di Napoli – Sezione Misure di Prevenzione, per la richiesta di ammissione al controllo giudiziario dell’azienda ex art. 34-bis, co. VI, del d.lgs. n. 159/2011 a seguito della tempestiva impugnazione al TAR dell’informazione antimafia del 12 dicembre 2016 da parte del Prefetto di Napoli.
Il giudice per le misure di prevenzione, con decreto del 20 giugno 2018, pur ritenendo l’istanza ammissibile poiché, ai sensi dell’art. 34-bis, VI comma del d.lgs. n. 159/2011, la società istante aveva tempestivamente impugnato l’informazione antimafia al TAR, l’ha respinta nel merito mancando, per il Tribunale di Napoli, il requisito della occasionalità delle infiltrazioni mafiose di cui al primo comma dell’art. 34-bis.
Il Tribunale ha, inoltre, evidenziato come l’assoggettamento della detta attività imprenditoriale al rischio di infiltrazioni camorristiche era già stato accertato con un primo provvedimento irrevocabile e con un secondo interdittivo confermato dal Tar con sentenza.
Il ricorso:
Avverso anzidetto decreto, la società F.C. proponeva appello riqualificato come ricorso e per questo trasmesso alla Corte di Cassazione.
I procuratori speciali della società F. C. Soc. Coop. lamentavano come primo motivo, la violazione del comma VI dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 159/2011 in quanto, secondo i ricorrenti, fattispecie completamente distinta da quella contemplata al primo comma dello stesso articolo. La finalità sottesa alla disposizione de quo, infatti, sarebbe quella di salvaguardare la continuità aziendale, evitando le perdite economiche connesse agli effetti dell’art. 94, che sono sospesi a seguito dell’ammissione al controllo. Il comma VI dell’art. 34-bis facendo riferimento alla richiesta di controllo giudiziario da parte dell’azienda che ha impugnato l’informazione antimafia della prefettura competente, non menziona il requisito della occasionalità delle agevolazioni presente, invece, nel primo comma.
L’unica ratio della disposizione di cui al VI comma, secondo i procuratori della società, è rappresentata dalla salvaguardia della continuità aziendale evitando le perdite economiche.
Il ricorrente riteneva che nel comma 6 gli unici presupposti sono l’esistenza di una informativa antimafia e le sue impugnazioni, non anche il requisito dell’occasionalità della infiltrazione mafiosa.
Come secondo motivo la società ricorrente lamentava una erronea valutazione del compendio indiziario nonché l’illogicità della motivazione in ordine alla mancanza del requisito di occasionalità.
Secondo i procuratori, infatti, il compendio indiziario in esame dimostrava l’assenza di legami stabili della società appellante con la criminalità organizzata ed inoltre, il Tribunale di Napoli non aveva preso in considerazione i notevoli cambiamenti apportati a partire dal 2015 all’interno della struttura societaria nonché la presenza sin dal 2017 di un Commissario straordinario di nomina prefettizia.
Per la società appellante, inoltre, il giudice di prime cure aveva preso in considerazione, ai fini della decisione, un’interdittiva antimafia emessa il 17 gennaio 2014 dal Prefetto di Napoli e, quindi, priva di qualsivoglia attualità, avendo ad oggetto circostanze già del tutto superate nel 2015 a seguito dell’estromissione della figura di G. D. P. dalla gestione della società a favore di un nuovo sistema di gestione dualistico consistente in un consiglio di gestione e un consiglio di sorveglianza.
La soluzione:
La seconda sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso promosso dalla F.C. soc. coop. inammissibile ed i motivi del ricorrente manifestamente infondati, perché “il controllo giudiziario su richiesta dell’impresa sottoposta ad interdittiva antimafia può essere riconosciuto soltanto nell’ipotesi in cui si tratti di infiltrazione mafiosa avente carattere occasionale, ritenendo l’occasionalità dell’infiltrazione un presupposto necessario del controllo giudiziario, anche se richiesto dalla società interessata”.
La natura dell’istituto, infatti, “non cambia se proposta dal Pubblico Ministero o richiesta dalla parte interessata dall’interdittiva e si pone come misura di prevenzione ontologicamente connotata dalla natura occasionale del “contagio mafioso” e della pendenza dell’impugnazione interdittiva, avendo come precipua finalità quella di garantire la continuità aziendale e di sospendere gli effetti dell’interdittiva prefettizia, in attesa dell’esito dell’impugnazione”.
I Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto inammissibile anche il secondo motivo di ricorso. Secondo la Corte “solo formalmente vengono evocati vizi di legittimità mentre in concreto le doglianze sono articolate sulla base di rilievi che tendono ad una rivalutazione del merito delle statuizioni del tribunale che ha esposto le ragioni per le quali non ritiene che nella specie possa ravvisarsi una agevolazione occasionale”. Il Tribunale, infatti, dopo aver ricostruito i fatti su base documentale, ha “concluso che emerge un serio compendio indiziario in ordine ad un costante rapporto tra la F.C. soc. coop. e società facenti capo a esponenti dei contesti di criminalità organizzata operanti nel territorio e che detti legami fondati sia su rapporti societari che su vincoli familiari appaiono idonei a infiltrare la società ricorrente in modo non occasionale”. La Corte, peraltro, evidenzia come l’interdittiva antimafia sia divenuta definitiva nelle more del giudizio, “avendo anche il Consiglio di Stato respinto le censure sollevate con il ricorso con sentenza sottoposta ad impugnazione straordinaria da parte della società ricorrente”.
Orientamenti giurisprudenziali:
Il nuovo istituto del controllo giudiziario è stato oggetto di molteplici provvedimenti emessi da vari tribunali di primo grado.
La prima pronuncia è stata emessa dal Tribunale di Catanzaro in data 18.12.2017 il quale, con un conciso provvedimento, ha ammesso la disposizione dell’art. 34 bis nell’ipotesi che richiede l’attivazione in tal senso della parte interessata, ritenendo sussistenti i presupposti di legge.
Nello stesso senso, Il Tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, ha accolto positivamente l’istanza relativa alla misura in esame e ha evidenziato come primo nodo da sciogliere, quello relativo alla permanenza di un margine di discrezionalità in capo al Tribunale competente. I giudici si sono interrogati, in altre parole, sulla circostanza se la richiesta possa produrre un vero e proprio automatismo, oppure se lasci comunque un margine di autonomia decisionale all’interprete. Il Tribunale di Reggio Calabria ha aderito a questa seconda alternativa sulla base di un dato letterale. Il legislatore, infatti, ha previsto che “il Tribunale accolga la richiesta solo ove ne ricorrano i presupposti”, mentre la necessaria impugnazione del provvedimento prefettizio può piuttosto qualificarsi come un requisito di ammissibilità della domanda. Con le modifiche al testo iniziale, i lavori preparatori hanno escluso ogni automatismo lasciando residuare autonomia di scelta in capo alla giurisprudenza. A questo punto, il Tribunale ha tracciato i confini della riconosciuta discrezionalità rimessa all’organo giudiziario concludendo che questa non può passare al vaglio i presupposti che legittimano l’applicazione dell’interdittiva antimafia non potendo l’istanza ex art. 34 bis, comma 6 rappresentare un escamotage per dolersi della scelta effettuata dal Prefetto con la medesima. Tale sentenza individua, inoltre, la ratio che deve guidare il giudice nelle scelte discrezionali nell’interesse pubblicistico a che si realizzino “opere di rilevanza pubblica e al correlativo interesse alla salvaguardia dei posti di lavoro”. In questo modo, realizzando un bilanciamento tra interessi divergenti, viene accordato al bene giuridico sotteso alla misura non ablatoria un ruolo prevalente rispetto a quello dello strumento interdittivo ex art. 84, comma 4 con la conseguenza che l’interdizione prefettizia potrà essere declassata solo qualora si ravvisi tale ampia finalità, consentendo all’impresa di continuare ad operare nel mercato.
In data 14.2.2018, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l’istanza ex art. 34 bis, comma 6 ripercorrendo i punti cardine del controllo giudiziario. Partendo dall’individuazione della ratio del controllo nell’intenzione di recuperare le attività economiche a rischio di infiltrazioni, distingue le due ipotesi di controllo contenute nell’art. 34 bis. La prima, di carattere generale, è disciplinata dal comma 1, adottabile d’ufficio al ricorrere dell’agevolazione occasionale e del pericolo concreto di inquinamenti dei gruppi mafiosi; la seconda, di carattere particolare, è quella disciplinata dal comma 6, irrogabile su richiesta di parte e avente ad oggetto esclusivamente il contenuto prescrittivo di cui alla lettera b) del comma 2. Quest’ultima ipotesi, dato il carattere residuale, impone la sussistenza di specifici presupposti in capo all’impresa istante, ovvero l’essere destinatarie dell’informazione di garanzia ex art. 84, comma 4, e a condizione che tale provvedimento sia stato impugnato avanti all’organo amministrativo competente. Quanto, infine, alla natura dell’impresa destinataria del provvedimento e, in particolare, se deve trattarsi di un’azienda con precise dimensioni o operante in determinati settori, il Tribunale, a fronte del silenzio legislativo, propende per un’interpretazione ampia ed estensiva dell’espressione, ricomprendendo, perciò, “qualsiasi attività economica, organismo che abbia dignità di player all’interno del mercato”.
L’ultimo provvedimento è quello emesso dal Tribunale di Bologna in data 6.3.2018. In questo caso, a differenza della decisione del Tribunale campano, viene disposto il controllo giudiziario della società interessata nella duplice ottica della rilevanza pubblica del tutoraggio e della continuità aziendale.
Un recente orientamento della Suprema Corte (Cass. pen., V, n. 34526 del 2 luglio 2018) ha stabilito che “l’ammissione al controllo giudiziario, per un’impresa raggiunta da una interdittiva prefettizia, non può accettare alcun automatismo (…) altrimenti lo scrutinio sarebbe meramente formale e l’accesso al controllo giudiziario si tradurrebbe in un diritto potestativo dell’impresa”. Ne discende che, il Tribunale, chiamato a pronunciarsi sulla ricorrenza dei relativi presupposti, lungi dal limitarsi a quelli processuali, deve necessariamente considerare i caratteri dell’istituto, come indicati dal comma I dell’art. 34-bis.
Prospettive:
La sentenza in commento è di sicuro interesse in quanto in essa si chiarisce, in materia di misure di prevenzione alla luce della riforma introdotta con la Legge n. 161/2017, quali siano i requisiti previsti per l’ammissione di un’azienda al nuovo istituto del controllo giudiziario ex art. 34-bis d.lgs. 159/2011.
Il controllo giudiziario è stato introdotto dalla legge n. 161 del 17 ottobre 2017 ed è disciplinato dall’art. 34 bis d.lgs. 159/2011. Si tratta di una nuova misura di prevenzione destinata a trovare applicazione residuale sia rispetto all’istituto dell’amministrazione giudiziaria di cui all’art. 34, sia del sequestro ex art. 20 e della confisca ex art. 24. Gli obiettivi che stanno alla base di tale istituto sono quello di potenziare l’efficacia del complessivo apparato prevenzionale e la sua dimensione garantistica, coniugando l’esigenza di disincentivare l’inquinamento mafioso dell’economia con quella di preservare l’interesse alla continuità produttiva e gestionale dell’impresa. La peculiarità del controllo giudiziario, perciò, va rintracciata nel fatto che, da un lato, consente la prosecuzione dell’attività di impresa e, dall’altro, tutela la collettività e l’economia da infiltrazioni mafiose.
L’azienda sottoposta a misura interdittiva antimafia ha, i n f a t t i , tutto l’interesse a chiedere l’ammissione al controllo giudiziario piuttosto che essere sottoposta ad amministrazione giudiziaria. La ratio della riforma che ha introdotto l’art. 34-bis all’interno del codice Antimafia era, infatti, quella di recuperare le imprese infiltrate dalle organizzazioni, nel quadro di una disciplina che bilanciasse in modo più equilibrato i diversi interessi coinvolti nella materia. In tal senso il controllo giudiziario delle aziende si pone come misura innovativa che non comporta alcuno “spossessamento gestorio” configurando un intervento, di conseguenza, meno invasivo rispetto all’amministrazione giudiziaria.
In via preliminare, si può osservare che i presupposti applicativi del controllo giudiziario appaiono essere meno invasivi di quelli dell’amministrazione giudiziaria. Essi possono essere individuati nel fatto che l’agevolazione deve risultare occasionale e che la sua eventuale sussistenza deve essere indiziata da circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionare l’attività economica e l’azienda.
Si comprende come il nuovo istituto sia ispirato ad una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, giacché mira ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata.
Le situazioni in cui esso può essere disposto sono molteplici; in particolare si possono rintracciare nel caso in cui non sia possibile applicare il sequestro o la confisca oppure nel caso in cui il Tribunale revochi l’amministrazione giudiziaria e applichi d’ufficio il controllo o, infine, quando è la stessa impresa a
richiederlo in via di autotutela.
L’istituto de quo, inoltre, anziché determinare lo spossessamento della gestione dell’attività d’impresa, prevede un intervento di vigilanza di tipo prescrittivo affidato ad un commissario nominato dal Tribunale e con il compito di monitorare, per un periodo predeterminato, dall’interno dell’azienda, l’adempimento delle prescrizioni impartite dal Tribunale stesso. Tali prescrizioni potrebbero consistere, oltre che nella già richiamata nomina di un’amministratore giudiziario che, guidato dal giudice delegato, attui la vigilanza prescrittiva al fine di sottrarre l’attività imprenditoriale dai tentativi di condizionamento mafioso, in oneri comunicativi nei confronti dell’Autorità giudiziaria e di polizia. In tal senso, i commi 2 e 3 dell’art. 34 bis dettano indicazioni più dettagliate per la posizione in essere del controllo giudiziario.
Come anzidetto, oltre all’ipotesi in cui l’iniziativa di applicazione del controllo giudiziario venga presa d’ufficio, il comma 6 prevede il diverso caso in cui è la stessa azienda a farne richiesta al Tribunale, quale forma di autotutela, qualora sia destinataria di una interdittiva antimafia e abbia impugnato la stessa innanzi al Tar. In tale ipotesi, laddove il Tribunale accolga la richiesta, si sospendono gli effetti del provvedimento prefettizio ai sensi del comma 7.
Fin dai primi commenti alla proposta di legge, tuttavia, sono state sollevate delle critiche rispetto all’ambito di applicazione del controllo giudiziario e in particolare proprio in relazione a quest’ultima ipotesi di richiesta autonoma da parte della stessa impresa. Le critiche erano legate alla necessità che la richiesta di cui al comma 6 dovesse essere ancorata ad una pregiudiziale impugnativa in sede amministrativa col rischio di un appesantimento dell’attività giurisdizionale amministrativa, oltre al rischio di una competizione fra giudici amministrati e ordinari circa i presupposti di applicazione del controllo giudiziario e dell’interdittiva antimafia.
Altro aspetto evidenziato da tali critiche era la scarsa presenza di filtri per l’adozione della misura con la conseguenza che qualsiasi impresa avrebbe potuto chiederne l’applicazione.
Il legislatore ha ovviato ad anzidetti rischi inserendo il presupposto dell’occasionalità, quale criterio che dovrebbe guidare il Tribunale in ogni scelta inerente la possibile applicazione del controllo giudiziario.
Il requisito dell’occasionalità, infatti, vale a delimitare l’esatto campo di applicazione del controllo e, al contempo, a distinguerlo dall’amministrazione giudiziaria. In virtù di questo requisito, infatti, l’art. 34 bis troverebbe spazio allorquando il contributo agevolatore ha carattere isolato e discontinuo, ma comunque efficace sul piano causale rispetto al rafforzamento dell’altrui attività illecita alla stregua di una valutazione prognostica.
Da ciò deriva che la situazione di infiltrazione, in tale ipotesi, si colloca in uno stadio anteriore rispetto a quella idonea ad integrare i presupposti applicativi dell’amministrazione giudiziaria, del sequestro o della confisca, nonché di una responsabilità penale; essa, cioè, si verifica prima che si manifestino quelle avvisaglie di condizionamenti criminali che pregiudicano la sostanziale integrità dell’azienda. In altre parole, il legislatore nel 2017 ha voluto prevenire i pericoli di infiltrazione in realtà imprenditoriali a rischio di contagio anche se, di fatto, una tale realtà potrebbe rimanere una mera ipotesi.
Con tale nuovo strumento, pertanto, da un lato, si è consentito l’ampliamento dell’ambito applicativo e dall’altro, si è consentito a quelle aziende intenzionate ad affrancarsi dai condizionamenti mafiosi, di farlo compiutamente, avviando, conseguentemente all’ottenimento della sospensione dell’interdittiva antimafia, un “percorso di recupero dell’attività imprenditoriale, svolta sotto la supervisione del tribunale e con le garanzie proprie di una procedura giudiziale”.
Il rischio, però, potrebbe essere che anche l’imprenditore condannato per uno dei reati di cui all’art. 84 Codice Antimafia possa proseguire l’attività d’impresa attraverso la mera presentazione della richiesta in parola, così da neutralizzare la disciplina in materia di documentazione antimafia. Per tale ragione, è stata evidenziata la necessità di ancorare a dei parametri precisi la discrezionalità del Tribunale in ordine all’esistenza dei presupposti per ammettere l’impresa a tale misura.
In base a quanto finora osservato, emerge come la recente riforma si contraddistingua per la previsione di strumenti giuridici contrassegnati da un diverso livello di invasività dell’intervento giudiziario, cui corrisponde un ventaglio di possibili interrelazioni tra l’attività d’impresa e il crime organizzato.
La novella ha confermato che il criterio seguito è quello della gradualità dell’intervento statuale nel tessuto economico-sociale, tenuto fermo il fine ultimo di neutralizzazione del fenomeno mafioso.
Non va dimenticato che la costruzione di una efficace strategia di prevenzione delle infiltrazioni criminali nelle attività economiche deve conciliarsi con la contrapposta esigenza di salvaguardare i preminenti interessi collettivi che trovano soddisfacimento nell’attività imprenditoriale. In tale ottica si è progressivamente affermata, di pari passo con il superamento di un approccio esclusivamente repressivopunitivo, una linea evolutiva che tende all’individuazione di strumenti alternativi di tipo preventivo e di controllo, calibrati appunto sul diverso grado di interferenza criminale, e, al contempo, volti a salvaguardare la continuità dell’attività d’impresa nella prospettiva terapeutica di una sua bonifica e successiva riabilitazione.
Ciò in ragione del fatto che, nella realtà odierna, i gruppi mafiosi hanno assunto carattere economico- patrimoniale, prendendo i connotati di vere e proprie multinazionali del crimine, organizzate e ramificate sul territorio e capaci di operare nel mercato insieme alle attività imprenditoriali sane. In tale contesto, perciò, l’intervento legislativo assume un valore strategico volto ad aggredire in modo puntuale e definitivo le ricchezze accumulate dai gruppi criminali.
Chiarito, dunque, che la tendenza normativa appare essere quella di potenziare le misure di tipo alternativo al paradigma confiscatorio, con l’introduzione di nuovi strumenti non ablativi, si autorizza l’ingerenza dello Stato all’interno delle aziende che affiancano o che siano a rischio contaminazione con le organizzazioni mafiose senza, però, disporre una totale estromissione dei titolari dalla gestione delle attività economiche. Così facendo si vuole cercare di salvaguardare le realtà imprenditoriali che non sono in grado di difendersi dai tentativi di commistione criminale, nonché fornire un apporto concreto nel ripristino della legalità nella continuità aziendale. In tale scenario, quindi, l’art. 34 bis sembra assurgere a norma di chiusura del sistema di interventi prevenzionali, sia per la sua collocazione, sia per il carattere sussidiario rispetto all’amministrazione giudiziaria, al sequestro e alla confisca.
In definitiva, sembra potersi affermare che lo strumento ablatorio abbia perso il tradizionale primato a vantaggio delle misure patrimoniali non ablatorie che aggiungono alla capacità di aggressione dei nuclei di economia illegale il reinserimento dei patrimoni depurati nel circuito della legalità. La tendenza, quindi, appare essere quella di valorizzare istituti più affini alla ratio preventiva, collaudando forme nuove di collaborazione fra il pubblico e il privato in un’ottica di difesa dei contesti imprenditoriali. Una tale scelta, infine, è stato osservato, consentirebbe anche di realizzare una piena tutela della solidarietà economica e sociale nel pieno rispetto dei principi fondamentali previsti dagli artt. 2 e 3 della Costituzione e 20 e 21 della Carta di Nizza.
Bibliografia:
Cantone e Coccagna, Commissariamenti prefettizi e controllo giudiziario delle imprese interdette per mafia: problemi di coordinamento e prospettive evolutive, in DPC, 11/2018;
Delfino R., Geraci M., Rinaldo S., Squillaci E., Dossier. Art. 34-bis d.lgs. 159/2011. Il controllo giudiziario delle aziende, febbraio 2018, reperibile su: http://www.cerpec.unirc.it/wp-content/uploads/2018/02/Dossierart.-34-bis.pdf
Menditto, Le misure di prevenzione e la confisca allargata, in Giuffrè Ed
Peronaci L., Dalla confisca al controllo giudiziario delle aziende: il nuovo volto delle politiche antimafia. I primi provvedimenti applicativi dell’art. 34-bis D.lgs. 159/2011, in Giurisprudenza penale web, 2018, 9, reperibile su:
http://www.giurisprudenzapenale.com/2018/09/07/dalla-confisca-al-controllo-giudiziario-delle-aziende-ilnuovo-volto-delle-politiche-antimafia/
Si veda Relazione della Commissione ministeriale incaricata di elaborare una proposta di interventi in materia di criminalità organizzata, istituita con D.M. 10 giugno 2013, presieduta dal Prof. G. Fiandanca, 2014, 13, consultabile su www.dirittopenalecontemporaneo.it
Giurisprudenza:
Tribunale ordinario di Catanzaro, II sez. pen., n. 3 del 18.12.2017
Tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, n. 135 del 31.01.2018
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione misure di prevenzione, del 14.02.2018
Tribunale di Bologna, II sez. pen., n. 4 del 06.03.2018
Cassazione pen., sez. V, n. 34526 del 2 luglio 2018
- Pubblicato il Diritto Penale, Novità Giurisprudenziali